La Pieve è il più antico monumento religioso di San Leo e
dell´intero territorio del Montefeltro. Costituisce la prima
testimonianza materiale della cristianizzazione di questa zona
dell´entroterra: la primitiva cellula di una storia che si mescola e
confonde con la tradizione.
Il termine latino plebs sta a significare popolo e cioè lo strato
sociale più umile della popolazione, che aveva fatto propri i valori
cristiani rapidamente propagati nel mondo latino. Durante il Medioevo il
termine passò ad indicare l’edificio in cui non solo si celebravano i
sacramenti e si partecipava alle messe solenni, ma si svolgevano anche
le riunioni dei capifamiglia per il dibattimento dei problemi legati
alla comunità. Infatti, dopo la riorganizzazione del reticolo plebano,
avvenuta in età carolingia, sempre maggiore risultò il ruolo ricoperto
dalla pieve, anche in campo civile e amministrativo. La Pieve di San Leo può essere raffigurata
metaforicamente come una nave incagliata su uno scoglio, una nave di
pietra ancorata per sempre alla roccia che la sorregge e di cui si
compone. L’edificio è infatti posto a cavaliere di una protuberanza
rocciosa del masso leontino cosicché, rispettivamente a levante e a
ponente, c’è spazio per due ambienti sottostanti le navate: la cripta o
confessionale ed il cosiddetto Sacello di San Leone che reca le tracce
di una sorta di abside scavata direttamente nella roccia, al quale si
accede da una porta esterna in prossimità della facciata.
In esso si conserva, reimpiegato nello strombo di una monofora, il
fronte di un sarcofago, con la raffigurazione mistica di due pavoni che
si abbeverano al cantaro che, insieme al rilievo murato nella parete sud
della chiesa, costituisce la più antica testimonianza scultorea
dell’edificio, forse antecedente l’VIII secolo.
La chiesa è innalzata su una pianta basilicale; la muratura esterna,
in conci d’arenaria, calcare e pietre d’altra natura, è scandita da
lesene originate da uno zoccolo più ampio conformato a mo’ di base. Il
curvo profilo delle tre absidi è sottolineato da archetti pensili,
formati da conci alternati a laterizi, ritmicamente disposti a tre a tre
fra una lesena e la successiva. L’abside maggiore è ampia più del
doppio delle due minori, cosicché queste ultime sono inglobate in essa
per un terzo circa del loro perimetro, dando vita ad un carattere
peculiare del romanico leontino che si ritrova anche nella vicina
Cattedrale
Non è sopravvissuta la probabile archeggiatura dei fianchi e della
facciata. Quest’ultima, altissima sulla roccia a strapiombo, è animata
da cinque possenti contrafforti, il mediano dei quali è interrotto dalla
bifora posta al centro della facciata. Si accede all’interno della
chiesa da due portali praticati nei muri di fianco, ambedue -ad arco a
pieno sesto- sormontati da una caratteristica loggetta cieca, nelle
ghiere della quale, l’alternarsi dei conci bicolori, costituisce un
rinnovato richiamo all’arte bizantina-ravennate.
L’interno, ad impianto longitudinale, è scandito
dalle arcate a pieno centro, impostate su sostegni alterni che dividono
le tre navate. L’alternanza dei sostegni è congegnata nel succedersi di
due colonne a due pilastri e di una colonna ad un pilastro, secondo un
ritmo i cui precedenti vanno ricercati nell’architettura medievale
d’oltralpe. Tutte e sei le colonne sono elementi di reimpiego e cioè
frammenti d’epoca romana o tardo-antica utilizzati originariamente in
altre costruzioni; lo stesso vale per i quattro capitelli corinzi che
sormontano le colonne delle navate (databili tra il I ed il IV secolo).
Le pareti interne della chiesa erano certamente intonacate ed in gran
parte decorate da pitture ed affreschi di varia epoca, le tracce dei
quali sono state disgraziatamente cancellate dai radicali restauri degli
anni trenta.
Il Presbiterio, rialzato sulla cripta, accoglie
nell’incavo dell’abside centrale il bellissimo ciborio datato 882, che
un’iscrizione recita dedicato dal Duca Orso alla Vergine:«AD HONORE (M) D
(OMI) NOSTRI IH (ES) U XP (IST) I ET S (AN) C (T) E D (E) I IENETRICIS
SE (M) P (ER)/QUE VIRGINIS MARIE. ECO QUIDEM URSUS PECCATOR/DUX IUSSIT
ROGO VOS OM(NE) S QUI HUNC LEGITIS ORATE P(RO) ME/TEMPORIBUS DOM(I) NO
IOH(ANNIS) P (A) P (E) ET KAROLI TERTIO IMP (ERATORIS) IND(ICTIONE)
XV/». (Ad onore del Signore nostro Gesù Cristo e della Santa Madre di
Dio la Sempre Vergine Maria, io Orso Duca, peccatore, feci fare questa
opera. Supplico voi che leggete di pregare per me. Fatto al tempo di
Giovanni Papa e di Carlo III imperatore, nell’Indizione XV).
La preziosa data è stata ritenuta valida per datare l’intera
costruzione, ma elementi strutturali pienamente romanici, come la
composizione delle murature a filari regolari, o il reimpiego di
frammenti scultorei altomedievali (come i pilastrini riutilizzati nelle
pseudologgette esterne, provenienti dalla recinzione del presbiterio, i
quali presentano dei capitelli molto simili a quelli del ciborio)
posticipano l’attuale assetto architettonico della chiesa al secolo XI.
La chiesa carolingia, probabilmente compromessa nella struttura da un
evento traumatico quale un terremoto, venne quasi completamente
ricostruita nel nuovo stile romanico certamente pochi anni dopo il
fatidico anno mille. A tutt’oggi la Pieve costituisce comunque uno dei monumenti medievali più affascinanti dell’Italia centrale:
insieme all’adiacente Duomo ed alla Torre campanaria va a conformare un
vero e proprio ‘campo dei miracoli’. (Cit. San-leo.it)
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